domenica delle palme

AFORISMI DEL SIGNORE

giovedì 13 aprile 2017

"LI AMO'SINO ALLA FINE"MESSA IN COENA DOMINI CENA DEL SIGNORE LETTURE: Es 12, 1-8. 11-14; Sal 115; 1Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15




Liturgia della Parola

Giovedi 13 Aprile 2017







MESSA IN COENA DOMINI

CENA DEL SIGNORE

LETTURE:


Es 12, 1-8. 11-14; Sal 115; 1Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15


Antifona d'Ingresso  Cf Gal 6,14
Di null'altro mai ci glorieremo
se non della croce di Gesù Cristo, nostro Signore:
egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione;
per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati.






PRIMA LETTURA    Es 12, 1-8. 11-14
Prescrizioni per la cena pasquale.
Dal libro dell’Èsodo  


«Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. Parlate a tutta la comunità d’Israele e dite: “Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l’agnello secondo quanto ciascuno può mangiarne.
Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore!
In quella notte io passerò per la terra d’Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d’Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d’Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne”».

    C: Parola di Dio.
A: Rendiamo grazie a Dio.




SALMO RESPONSORIALE

  
Sal 115

Il tuo calice, Signore, è dono di salvezza.

Che cosa renderò al Signore,
per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza
e invocherò il nome del Signore.

Agli occhi del Signore è preziosa
la morte dei suoi fedeli.
Io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.

A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo.



SECONDA LETTURA   1 Cor 11, 23-26
Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore.

Dalla prima lettera di S. Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

C: Parola di Dio.
A: Rendiamo grazie a Dio.

  
ACCLAMAZIONE AL VANGELO 


Cf Gv 13,34
Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!
Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore:come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!   

Vangelo  Gv 13, 1-15


Li amò sino alla fine


Dal vangelo secondo Giovanni
 
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». 
 
 

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te,o Cristo




«Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».  


RIFLESSIONE AL VANGELO





“ Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel modo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1).
Nel vangelo di Giovanni queste parole, toccanti e colme di verità, aprono il racconto dell’ultima cena del Signore e al tempo stesso avviano il ricordo di tutto ciò che è stato operato dal Figlio di Dio per la nostra salvezza.
La sapiente pedagogìa della Chiesa ce le ha riproposte perché ci aiutino a cominciare nel migliore dei modi la rievocazione commossa e riconoscente non solo del grande dono dell’eucaristia, ma anche dell’intero evento di riscatto e di rinnovamento, che sarà l’oggetto della nostra appassionata contemplazione personale nonché delle azioni liturgiche della Settimana Santa, centro e cuore dell’anno cristiano.
E’ una frase rapida e semplicissima, che riesce a dirci con chiarezza quale sia il concetto primario e autentico della Pasqua, e quale sia la sua ispirazione e la ragione del suo valore.
Il significato originario ed elementare della Pasqua è quello di essere un “passaggio”; l’energia che la determina e la impreziosisce è l’amore.
* * *
La pagina dell’Esodo, riferitaci dalla prima lettura, ci ha fatto conoscere il senso della prima Pasqua: “Io passerò per il paese dell’Egitto” (Es 12,12), abbiamo ascoltato. Dio “è passato”; e in questo passaggio (“la Pasqua del Signore!” <cfr. Es 12,11>), ha cominciato a liberare “con mano potente e braccio teso” (cfr. Sal 135,12) il suo popolo dalla schiavitù e dall’oppressione.
Già in questo inizio primordiale, la Pasqua ha offerto e offre un messaggio di consolazione e di speranza: abbiamo un Creatore che non ci abbandona ai nostri guai, è disposto camminare con noi, è intenzionato a entrare nella nostra vicenda per piegarla ai suoi fini di misericordia.
Ma il pregio più alto e più essenziale della Pasqua ebraica (che era soprattutto la commemorazione di una salvezza nazionale e intramondana) è quello di essere profezia e raffigurazione del “passaggio” decisivo e totalizzante dell’umanità da uno stato di decadenza e da un destino di perdizione alla vera libertà dei figli di Dio e a una condizione di gloria e di felicità senza fine.
Questo “passaggio” - questa “Pasqua” che avvera tutti i simboli antichi ed esaudisce tutte le aspirazioni - è prima di tutto del “Nuovo Adamo”, capo e archètipo di ogni creatura, colui che ha condiviso in tutto la nostra miseria (tranne che nel peccato) ed è divenuto il principio dell’universo rinnovato. Lui per primo “è passato da questo mondo al Padre”, perché questo “passaggio” diventasse anche nostro e la Pasqua fosse un’avventura trasformante anche per noi.
Il “passaggio” salvifico di Gesù è stato un capolavoro di dedizione alla nostra causa: una dedizione totale, che arriva fino alla morte e addirittura l’oltrepassa nella gloria alla destra del Padre, dove egli è “sempre vivo per intercedere a nostro favore” (cfr. Eb 7,25).
Ciò che è avvenuto sul Golgota – ciò che domani sarà posto davanti ai nostri occhi - non è solo un omicidio, è un sacrificio di espiazione che ci consente il ritorno alla casa del Padre. Quelle membra, che la malvagità ha spento e reso inerti, sono un “corpo dato per noi” (cfr. Lc 22,19); quel sangue è stato sì sparso dai soldati uccisori, ma prima ancora è “il sangue dell’alleanza, versato per la moltitudine in remissione dei peccati” (cfr. Mt 26, 28).
“ Fate questo in memoria di me” (1 Cor 11,24): proprio perché non ci dimenticassimo mai di lui e della sua dedizione totale per noi, Gesù istituisce il rito eucaristico che rende presente in ogni ora della storia e in ogni angolo dell’universo la sua “Pasqua”, cioè il suo passaggio salvifico. 
In virtù di questo rito che ci edifica e ci alimenta, è dato anche a noi di passare “da questo mondo al Padre”. “Chi mangia la mia cane e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54): chi ascolta questa parola di Cristo e crede a lui “passa dalla morte alla vita” (cfr. Gv 5,24).
* * *
Nel battesimo, e poi in tutto l’itinerario sacramentale che scandisce l’esistenza cristiana, noi ci assimiliamo a poco a poco alla Pasqua del Signore, cioè del Nuovo Adamo, e operiamo il trasferimento dalla triste eredità del Primo Adamo alla dignità e alla fortuna di essere figli di Dio e coeredi di Cristo (cfr. Rm 8,17).
Ma questo nostro “passaggio” - che il banchetto eucaristico stimola e sorregge giorno dopo giorno - non può essere soltanto un fatto rituale: deve toccare e trasfigurare tutto il nostro essere. La nostra vera Pasqua non si riduce a una scadenza liturgica: è anche una trasformazione interiore. Vale a dire, comporterà il nostro transito di conversione dall’abitudine triste del peccato alla serenità della vita di grazia; dalla rassegnata mediocrità e dall’incoerenza al fervore religioso e alla generosità della militanza ecclesiale; dai pensieri superficiali e sbandati, che ci vengono imposti dalla cultura dominante, a un’integrale mentalità di fede, che ci consente di vedere e giudicare ogni situazione e ogni idea con gli occhi stessi e con la logica del Maestro unico e incontrovertibile.
Fino a che la nostra Pasqua arriverà al suo culmine e al suo compimento quando varcheremo, anche con le nostre membra, la soglia della Gerusalemme celeste.
* * *
“ Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.
“ Sino alla fine” vuol dire prima di tutto “sino alla morte”; quella morte che della sofferenza redentrice è il momento finale e il traguardo.
“ Gesù disse: ‘Tutto è compiuto!’. E, chinato il capo, spirò” (Gv 19,30), ascolteremo domani sera dallo stesso evangelista Giovanni. Del resto, il Figlio di Dio - in questa cena della vigilia, che precede il suo arresto - lo dice esplicitamente: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15.13).
Come si vede, “sino alla fine” vuol dire anche “sino all’estremo”, cioè sino al grado sommo e insuperabile della capacità d’amare.
“ Li amò sino alla fine”. Questa frase è posta qui dal quarto vangelo come risposta anticipata (la sola risposta possibile) ai molti “perché” che fioriscono nel cuore di chi medita sul mistero di questi tre santi giorni.
Perché Gesù ha voluto rendersi presente, nascostamente ma realmente sotto gli umili segni del pane e del vino? Per amore. Perché si è sottoposto all’amarezza di essere tradito da uno dei suoi, all’odio della sua gente, alla pena atroce dei malfattori, alla catastrofe umana della morte e della sepoltura? Per amore.
Tutto è stato fatto per il desiderio appassionato di salvarci; e tutto è stato fatto per insegnarci ad amare; per insegnarci ad amare sul serio, ad amare concretamente, ad amare sino alla difficile e costosa donazione di noi stessi.
Card.Giacomo Biffi
Arcivescovo emerito di Bologna
Santa Messa Cena del Signore,2003


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